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“PENSIERI E PAROLE” DI UN SENIOR COACH

“PENSIERI E PAROLE” DI UN SENIOR COACH

Sandra è un Senior Coach. E quando l’esperienza si accumula, cresce la consapevolezza che il traguardo si allontana, non più a portata di mano, non basta essere operativi. Si sposta il confine, diventa interiore. Sandra e io ci troviamo nella trattoria sotto casa, a due passi dal Colosseo, un giardino coperto e la primavera nell’aria. E’ un’intervista un po’ per gioco. Prime gocce di pioggia, ticchettano sui teloni: Verdure grigliate? E che non manchi il carciofo.  Il cameriere volteggia fra i tavoli senza carta e penna; ascolta, parla, guarda con benevolenza e un largo sorriso i suoi clienti, memorizza e riformula per confermare se ha capito e arriva a noi. Ordiniamo e aspettiamo. Mi sembra che il Coaching sia ovunque, dove due persone cercano insieme una strada, ma non è così, vero Sandra? “Si, le basi per la comunicazione sembrano le stesse, ma il coaching crea un rapporto speciale. E io ci sono arrivata in modo speciale. Facevo assessment manageriale per una grande Banca, avevo già 20 anni di azienda, e nel dare il feedback uscivo con una soddisfazione limitata: mi mancava un pezzo,  il trasferimento utile nella vita quotidiana, come i concetti potevano diventare comportamenti, che ti cambiano da oggi. Dopo alcuni scambi di idee con colleghi avevo ben chiare le potenzialità e la versatilità dello strumento, e il  master in business coaching mi è servito a concettualizzare la mia esperienza. Io mi trovo bene nella relazione a due ed è facile per me favorire un setting giustamente informale e rilassato per mettere a suo agio il mio interlocutore. E’ solo il primo passo”.

Arrivano due porzioni da camionista di verdure: accattivanti, ma impegnative. Rapida ricognizione tra patate arrosto, cicoria ripassata con una generosa sventagliata di peperoncino, ed un enorme carciofo troneggiante su un piatto a parte. La pioggia accompagna allegra questa importante scelta manageriale e da un ritmo incalzante: ce la posso fare, ma bisogna scegliere e abbandonare, purtroppo qualcosa.

“Spesso il Coachee ha chiaro in mente un obiettivo che è uno schermo. Ricordo le prime sessioni  con un dirigente responsabile della Comunicazione in una grande azienda, che stava attraversando un passaggio delicato di gestione del conflitto con il  suo team e con il suo capo. Chiedeva al Coach di aiutarlo a migliorare la sua assertività, per essere più efficace nel sostenere le sue ragioni. Abbiamo analizzato con calma e metodo le situazioni ed i comportamenti agiti nel lavoro quotidiano ed il Coachee ha messo a fuoco la sua vera necessità: fortificarsi nelle capacità di negoziazione e gestione dei conflitti e non costruire uno stile assertivo. Il suo piano di azione ha riguardato tra l’altro affrontare i conflitti sul nascere, quando sono ancora gestibili senza colpi di mano, scelte drastiche, evitando di scansarli o posporli per non cambiare se stessi e mettersi in discussione.”

Mi viene in mente l’autenticità, parola chiave di precedenti incontri con Sandra: se la relazione non è autentica, se Coach e Coachee non sono lealmente autentici con se stessi e fra di loro non scatta quella fiducia che è il presupposto. Ma non di un’alleanza “terapeutica”, qui non ci sono malati da guarire. Che cosa è più impegnativo per un coach nelle fasi iniziali di un percorso di Caoching? La relazione con il Coachee o la risonanza interna, la gestione delle tue emozioni?

“Quando inizia la prima sessione con il Coachee, e siamo uno accanto all’altra, è già iniziata l’avventura. Incontri con il Cliente, analisi organizzativa: come consulente sono già entrata in un mondo, ho stabilito un feeling ed ho un’ipotesi di approccio, che mi tengo a disposizione senza farmi intrappolare da pregiudizi o peggio giudizi che precludano una profondo ascolto attivo. Sono dinamiche interiori. Sono sempre più consapevole che non è il distacco, ma la pace che riesco a provare nell’accogliere e far emergere le ambiguità che può fare la differenza.  Soprattutto all’inizio, non bisogna scegliere chiaramente. Il rischio è di mettersi al posto del Coachee e con intuito, esperienza, efficacia fare il suo lavoro. E’ lui, o solo, lei che devono scegliere e sciogliere piano piano le ambiguità, magari non fino in fondo”. Il piano di realtà, non ci sono sconti.

Ma la presa in carico della responsabilità da parte del Coachee funziona sempre?  “Se ci sono alcune condizioni, si, la scelta si appoggia ad evidenze ed è questo il bello”. Ha smesso di piovere. Ci aspetta un pomeriggio denso di lavoro. Sul tavolo anche porzioni appena sbocconcellate di verdure ripassate.

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